Pochos - La squadra di calcio che divide la comunità LGBTQ



Lo scorso mercoledì a Napoli è stata presentata la squadra di calcio che ha il nome di Pochos ed è costituita da tutti giocatori gay. L’iniziativa  portata avanti da Giorgio Sorrentino, con l’appoggio di Arcigay Napoli e del suo presidente Antonello Sannino,  sta però suscitando pareri contrastanti fra i membri della comunità LGBTQ.

Ma partiamo con le affermazioni di Giorgio Sorrentino con le quali spiega la scelta di dar vita ai Pochos:

Dopo il salto


 



Mi sono reso conto che online la maggior parte delle persone cerca sesso. Per andare controcorrente ho proposto partite a calcetto”. - Continuando Sorrentino palesa anche la volontà di aprire la squadra a giocatori eterosessuali: “Non bisogna ghettizzarsi. La squadra sarà composta da omosex e non. Vogliamo sfidare in campo, attraverso un gioco, la normalità. Noi i pregiudizi non li combattiamo, ma ci giochiamo: chi vuole giocare con noi può scendere in campo”.


Che la vita della squadra non avrebbe avuto vita facile, s’è capito subito già durante la sua presentazione quando Alessandro Cecchi Paone, infastidito dalla scelta di alcuni dei giocatori  di non  mostrarsi alle telecamere per riservatezza e per questioni di coming out non risolti in famiglia, ha lasciato la sala sostenendo che nel Capoluogo campano ci sono ancora troppi tabù, generando uno scambio di battute con l'Assessore alle Pari Opportunità Giuseppina Tommasielli.


Ma non è su quanto accaduto con Cecchi Paone che voglio soffermarmi anche perché ce ne parlerà Venerdì, nell’intervista per la rubrica Altri Mondi, Antonello Sannino. Quello su cui voglio canalare l'attenzione è su come la comunità LGBTQ ha accolto la nascita dei Pochos. C’è qualcuno che vede nella formazione di questa squadra di calcio un volere rendere sempre più eterizzata l’omosessualità e che il calcio non rispecchia quello che è il mondo gay.


Secondo me dire che ci stiamo eterizzando è davvero una cosa senza senso perché  ci si mette allo stesso livello di coloro che dicono:“quello è da gay”.  Perché dobbiamo ghettizzarci snobbando un aspetto che fa parte della normalità, quella stessa normalità che noi invochiamo quando richiediamo i nostri diritti?


Se una quadra di calcio gay s’è formata, è perché ci sono anche alcuni omosessuali che seguono e praticano il calcio, no? Quindi, perché non dare spazio anche a questo aspetto dell’omosessualità? E soprattutto, perché si deve continuare a dare solo un’immagine del gay?


Allora fanno bene a etichettarci come diversi  se poi siamo i primi noi a volerlo evidenziare prendendo le distanze dal mondo cosiddetto normale.


Se vero che il mondo è vario, perché noi, che quando ci fa comodo invochiamo questo principio, ci dobbiamo soffermare sul fatto che la squadra è di calcio? Coloro che sono contrari a questo tipo di sport  possono operarsi per formare squadre di pallavolo, basket, atletica e se vogliono perfino di ramino pokerato. Una non esclude l’altra e, soprattutto, nessuno lo vieta! A Napoli è stata fatta una squadra di calcio, qualche altra città, potrebbe crearne una di differente tipo in modo da accontentare tutti i gusti e tutte le passioni.
 
Tuttavia, mi sembra giusto ricordarlo a chi ha detto perché non fare una squadra di pallavolo, basket, atletica, che il Presidente di Arcigay Napoli, Antonello Sannino, ha già espresso la volontà di dar spazio anche alle altre discipline sportive proprio durante la presentazione di mercoled' scorso:


“L’idea è quella di costituire una polisportiva che possa impegnarsi in campionati dilettanti di pallavolo, basket, calcio e dare un’opportunità a dei ragazzi della comunità di fare dello sport anche con persone della propria comunità.”


Quindi se già questa volontà è stata espressa, perché continuare a criticare questa squadra e non mettersi in movimento per creare una polisportiva?


Forse una squadra di calcio non sarà la cosa migliore per abbattere il muro dell’ignoranza e dare una smossa alla lotta per i diritti civili, però c’è anche da dire che nel corso della storia LGBTQ, e sfido chiunque a smentirmi, sono state portate avanti tante iniziative fini a se stesse e non idonee alla causa che non hanno prodotto alcun frutto e sono finite nel dimenticatoio. Quindi alla luce di tutto questo, non riesco a comprendere il perché di così tanta avversione nei confronti di quest’ultima operazione. Devo, forse,  pensare che tutto questo subbuglio e malcontento è dato dal tipo di sport scelto? Se così fosse, e mi auguro vivamente di no, allora davvero abbiamo tanta strada da fare prima di arrivare da qualche parte. Se basta così poco per darsi contro l’un l’altro, allora davvero non sappiamo da dove iniziare per ottenere ciò che ci ‘spetta.


Rubrica: Francesco Sansone
Grafica: Giovanni Trapani
 
Foto: Web

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