Racconti Brevi - Lettera a un amico

Prologo

Arrivano puntuali i Racconti brevi del Giovedì, e benché  mi ero ripromesso di scrivere la storia di oggi nel fine settimana, non ci sono riuscito (quanto avrei voluto pensarci quest'estate a questa rubrica, così da scrivere i racconti prima, così come ho fatto con le puntate di Un Nuovo mondo) e quindi mi sono ritrovato a scriverla poche ore fa, spero che il risultato sia ottimo (giuro che l' ho riletto e mi auguro di averlo fatto con attenzione, giusto per evitarmi le vostre "strigliate" che però, confesso,  mi fanno un immenso piacere, perché indice del interesse per il blog). Ma basta con le chiacchere e vi lascio alla lettura.
Francesco Sansone
Racconti Brevi


Lettera a un amico

Ciao caro amico, come va?
   Ho un forte bisogno di parlare, di raccontare ciò che ormai, mi uccide. Ti starai chiedendo cosa voglia dire o quanto meno a cosa mi riferisca, dato che ti ho sempre lasciato credere che tutto andasse bene, che tutto andasse per come doveva andare, ma fingevo, ho finto fino ad oggi. Benché in questi due mesi, durante le nostre giornate assieme fingo di essere sereno, col calare della notte, non riesco più a fingere e cado, mi lascio cadere nel ricordo. Tu lo sai, ho amato e pure tanto. Ho vissuto una lunga e magica storia d’amore, in cui ho scoperto cosa significa amare. Con lui ho imparato che amare è qualcosa che bisogna coltivare in due, e dove l’altro manca o non arriva in qualcosa, c’era l’altro che completa o arriva a fare quel qualcosa. In questi anni ho scoperto la meraviglia del svegliarsi appoggiando lo sguardo sull’altro, accarezzarlo e sussurrare al suo orecchio “ti amo”. Giocare assieme, sbrigare le faccende assieme e anche, perché no? Ho scoperto anche il piacere di litigare per fare subito dopo l’amore e con esso rappacificarsi e, non meno importante, ho scoperto la bellezza di crescere assieme a chi si ama. Tuttavia dopo tutti questi anni sto scoprendo cosa si intende quando si dice di avvertire un vuoto dentro e una stretta al cuore che lo stringe lasciando rallentare i battiti sempre più. Sto imparando cosa significa vagare per le strade e girarsi al suono del nome di chi non c’è più, speranzosi di rivedere quel viso che si osservava al risveglio, e rimanere delusi quando ci si rende conto che era solo un nome e non il suo e riprendere a camminare richiudendosi nel cappotto e andare avanti con lo sguardo lucido che si giustifica dando la colpa al vento. Tornare a casa e sentire il silenzio. Non sentire l’olio che frigge sulla padella in cucina perché non c’è più nessuno che cucina per te. Mangiare da solo e lasciare rigorosamente il piatto intero, per sedersi sul divano e fissare la tv, ricordando che prima la si guardava stretti alle sue braccia. Andare a letto. Spogliarsi. Alzare le coperte. Stendersi. Stirare il braccio e rendersi ancora una volta che l’altro lato del letto è vuoto, così come è stata vuota tutta la giornata. Cercare di chiudere gli occhi per dormire. Pensarlo mentre gli occhi si riempiono di lacrime e giustificarle, una volta ancora, dando la colpa alla venticello che entra dalla finestra aperta. Addormentarmi avvilito dopo ore ed ore trascorse insonne e finalmente sognarlo. Nel mondo dei sogni lo rivedo di nuovo accanto a me che riempie le mie giornate, che mi augura il buondì, che esce con me, che mi chiama per avere un’idea su cosa preparare per cena. E ancora, tornare a casa insieme e raccontarci le reciproche giornate lavorative, mandando giù i manicaretti preparati con amore. Andare sul divano e, abbracciarti, guardare un film noleggiato per la serata. Baciarci, coccolarci e poi… e poi andare a letto e fonderci in un corpo unico. Sono felice!

La felicità, però, svanisce quando la sveglia suona e apro gli occhi. Non c’è più! Non c’è nessuno nell’altro lato del letto a cui sussurrare ti amo e gli occhi si spengono e tornano a inumidirsi, e inizio a mentire dando la colpa di queste prime lacrime del nuovo dì alla luce del sole che prepotente illumina la stanza.

Caro amico scusami se mi lascio andare in queste righe, ma non riesco più a dire che sto bene, quando non c’è nulla che vada bene. Non riesco più a sforzarmi di sorride, quando invece vorrei solo piangere. Non riesco più a vedere l’azzurro quando intorno a me è tutto nero...

Scusami, amico caro, se ti ho mentito ogni volta che mi chiedevi se tutto andava bene, ma preferivo dirti una menzogna perché credevo che dire a voce alta che dentro di me c’era un male così forte, avrebbe reso tutto così vero, quando io, invece, speravo di vivere un brutto incubo. Ora, sfortunatamente, devo rassegnarmi al fatto che è tutto vero, che lui è scivolato via, che è andato via, lasciandomi qui, sul divano, ad ascoltare la solita canzone jazz, che, ormai, è diventata la mia messa in requiem.

Con infinito amore

Il tuo vecchio amic…