Un miracolo di Natale

Premessa dello scrittore

Eccomi qua, non potevo mancare per fare gli auguri a tutti voi e ovviamente non posso che non farli alla mia maniera, tramite un racconto. Un racconto tipicamente natalizio, scritto per l'occasione e che può sembrare banale, ma in fondo a Natale siamo tutti un po' banali e felici di esserlo. Augurandovi un Felice e Magico Natale, vi saluto e spero che la gioia del Natale invada tutti voi.
Francesco Sansone

Ė arrivato quel periodo dell’anno in cui tutti si promettono di essere più buoni, sperano di avere più fortuna e desiderano più serenità. Ma se tutti se lo augurano, non è detto che tutti ne possano usufruire. Fra tutti coloro che sperano di avere una buona stella, ci sono due ragazzi che, nonostante tutti i loro sforzi , sembrano destinati a non ricevere mai un colpo di fortuna. Ma a Natale, si sa, tutto è possibile e prima o poi la fortuna gira e quando meno ce lo aspettiamo la vita cambia senza rendersene conto.
Federico e Giorgia, sono due ragazzi che si amano ormai da tre anni e in questi anni ne hanno passate e superate di ogni tipo, ma ancora la loro strada è lunga e tormentata.
Federico è una ragazzo figlio del tempo in cui viviamo, cerca ancora un lavoro, benché la laurea sia nel suo cassetto ormai da un anno, non ha trovato il lavoro che gratifichi i suoi studi, ma ciò non significa che non si sia messo in gioco con la vita, ma la vita s’è presa gioco di lui. Ha fatto tanti di quei lavori offerti dai Mangiafuoco del caso, che dopo averlo sfruttato gli hanno dato un calcio nel culo e neppure un soldo per la fatica fatta. Federico, però continua il suo sogno, continua a realizzare disegni, continua a dipingere e a fare tutto ciò che la sua la sua arte in lui innata, sa creare.
Giorgia è pure lei laureata e come Federico si arrangia, sperando prima o poi di mettere in pratica i suoi studi.
I due, che dopo un’estate passata lavorando fuori dalla loro città, per portare a casa un po’ di sordi per l’inverno, sotto queste feste però i soldi sono finiti, e nessuna risposta è arrivata dalle aziende a cui hanno inviato i numerosi curricula.
Sono scoraggiati, pensano all’affitto della casa da pagare, al frigo vuoto , alle bollette e pensano che il Natale quest’anno non arriverà mai. In più Giorgia non sta bene, ha problemi a respirare a causa della sua asma, che negli ultimi giorni non le da tregua, ma non vuole dire nulla a Federico, per non farlo preoccupare, anche perché nei suoi occhi legge il suo senso di fallimento. Giorgia aspetta che lui esca a prendere un po’ d'aria, per buttarsi a letto per cercare un po’ di benessere, ma oggi succede qualcosa che la stessa ragazza, non poteva immaginare. Ad un certo punto, la ragazza ha una crisi asmatica che non riesce a controllare, si alza da letto per arrivare alla macchinetta per l’aerosol, ma non ce la fa e crolla sul pavimento. Dalla porta, intanto, qualcuno bussa intimando di aprire. E' il padrone di casa venuto per prendere i soldi dell’affitto che già troppi giorni i ragazzi hanno rinviato di pagare. Continua a bussare, la ragazza cerca di farsi sentire, ma la voce non riesce ad uscire e decide di far cadere il vaso accanto a lei. Sentendo il rumore, il proprietario di casa, grida ancora più forte di aprire e quando nessuno risponde, prende le chiavi dell’appartamento e apre la porta. Quando entra trova Giorgia senza sensi e chiama l’auto ambulanza.
Intanto Federico è per strada senza sapere nulla che continua a entrare e ad uscire dai negozi lasciando il suo curriculum. Già perché mentre fa credere a Giorgia che esce per respirare, in realtà cammina per le strade lasciando i suoi dati nei vari negozi, ma la risposta è sempre no a causa di una crisi mondiale che ha bloccato tutto. Ė l’ora di ornare a casa, e lo sconforto lo assilla come sempre, ma prima di avviarsi decide di provare in un altro negozio.
Intanto Giorgia viene portata sull’autoambulanza che parte a sirene spianate. Federico tornando a casa, vede l’ambulanza svolazzare a tutta velocità sotto i suoi occhi e si chiede cosa mai fosse successo, chi ci sia sopra quella vettura. Si ferma al panificio, compre due pani, un po’ di biscotti per il the, bevanda che i due ragazzi amano bere la sera davanti alla tv. Va a pagare e dice al proprietario del negozio di voler saldare il conto aperto qualche tempo fa. Il panettiere chiude se ci fossero delle novità e il ragazzo risponde – Ė Natale e non si soffre più- e pagando saluta e si avvia verso casa e pensa a quando Giorgia gli dirà - sei tornato? Mi sei mancato – come fa sempre quando rientra a casa.
Davanti al portone di casa, vede la gente che parla della ragazza portata in ospedale, ma Federico, benché fosse interessato a scoprire chi fosse, non presta attenzione, voleva solo rientrare e gridare a Giorgia è Natale. Sale le scale e vede i suoi vicini che parlano, e quando questi lo vedono, gli vanno incontro e gli dicono di correre subito all’ospedale. Il ragazzo, lascia cadere i pani e i biscotti e dicendo – adesso no- scende le scale e corre dalla sua Giorgia.
Quando entra al pronto soccorso, incontra il proprietario di casa che, raggiungendolo, gli dice di farsi forza.
- Perché devo farmi forza? Che succede, dov’è Giorgia, me lo dica, mi risponda? - chiede in lacrime il ragazzo
- Giorgia adesso è dentro, la stanno visitando, ma quando è arrivata qui era in critiche condizioni, non respirava più.
Mentre l’uomo da una pacca sulla spalla di Federico, esce il medico, dicendo che Giorgia, è stata ricoverata in terapia intensiva e che bisogna sperare in un miracolo, perché i suoi polmoni erano completamente chiusi al suo arrivo.
- Ma lei non s’è accorto di nulla? Dalle analisi, si vede benissimo che ha avuto diversi attacchi negli ultimi quattro giorni - chiede il dottore
- No veramente non mi sono accolto di nulla, quando ero in casa.. mi sembrava .. era serena.. insomma stava bene, non mi ha mai detto nulla.
- Strano.. comunque dobbiamo solo sperare – detto questo il medico se ne va, lasciano Federico con il proprietario di casa.
- Guarda Federico.. per quanto riguarda l’affitto … Be’ puoi..
- No ha ragione, oggi stesso sarei venuto a parlarle per chiederle ancora un mese di pazienza, perché oggi ho trovato un lavoro e avrei pagato tutti gli arretrati.
- Stefano, io volevo dirti.. che potevi prenderti tutto il tempo che ti serve, però stando così le cose, ok tra un mese ne riparliamo. Adesso devo andare, però se per te non è un problema, domani io e mia moglie possiamo venire qui a farvi compagnia, infondo domani è Natale, no?.
- Ve ne sarei grato. Non vorrei disturbarvi però …
- Non dire più nulla, ci fa piacere
- Grazie mille – dice il ragazzo. – Adesso vado da Giorgia.
- Sì,vai pure.
Federico si dirige, verso la camera di Giorgia e la vede nel letto, con tanti fili che la legano alle macchine con le quali può respirare. Si avvicina a lei, si mette in ginocchio davanti al suo letto e le stringe la mano. Da una finestra arriva il canto di un coro che intona le note di una canzone di Natale, mentre l’orologio segna la mezzanotte e gli infermieri nella loro saletta, stappano una bottiglia di spumante e si scambiano gli auguri. Intanto Federico è ancora seduto al fianco di Giorgia e inizia a parlare.
- Amore, è proprio vero, noi non ci meritiamo nulla. Non so perché ma non riusciamo ad esser felici. Adesso che ho trovato un lavoro e potremo esser felici, tu stai in queste condizioni. Abbiamo fatto di tutto per riuscire a vivere serenamente, ci siamo fatti un culo quanto una casa, per cosa? Babbo Natale se è vero che esisti, aiutaci a vivere sereni, aiuta Giorgia a tornare da me ti prego.
Due infermieri si avvicinano a lui. Uno tiene in mano la bottiglia di spumante e l’altra i bicchieri da riempire.
- Signore, vuole un po’ di spumante? – chiede l’infermiera avvicinandosi a Federico
- No, grazie, siete molto gentili, ma non ho niente da festeggiare oggi.
- Non dica così, non si scoraggi, abbia fede. Lo sa che a Natale tutto è possibile?
- Sarà, ma ormai non ci credo più.
- Su non dica queste cose, continui a sperare.. in fondo la magia del Natale è imprevvedibile. Non smetta di crederci. Su! Beva un bicchiere con noi.
Federico segue i due infermieri e si unisce a tutti i parenti dei pazienti ricoverati e brinda con loro. Quando questi iniziano a cantare, il ragazzo preferisce ritornare da Giorgia e scoppia in lacrime. Una di queste scende lungo la guancia di Federico, per cadere poi sulla mano di Giorgia. Federico, per stare ancora più vicino a Giorgia decide di appoggiare la tua testa sul petto della sua amata e chiude gli occhi, quando uno scintillio proveniente da fuori, lo fa sobbalzare, e inizia a fissare la finestra.
- Federico, amore mio non piangere più, sono qui con te – Federico si gira e vede che la sua Giorgia è sveglia e gli sta parlando, l’abbraccia stretta stretta a se’.
- Amore mio.. sei tornata.. sai ho trovato un lavoro, potremo stare tranquilli, senza più problemi. Sono così contento.
- Amore hai visto, quest’anno Babbo natale non s’è scordato di noi. Buon Natale Stefano.
- Buon Natale amore mio.
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L'ala ritrovata

Premessa dell'autore

Questo racconto è davvero diverso da quelli fino ad oggi pubblicati. Fra parabola e favola, la storia vuole dimostrare che in un giorno qualunque in un posto attretanto qualunque, la nostra vita è destinata a cambiare, a volte in peggio e a volte in meglio. In questo caso, l'arrivo dell'amore segna la fine di un periodo di vuoto, di solitudine, di mal d'anima che a volte ci accompagna nella quotidianità senza mai palesarsi a noi stessi.
Buona lettura
Francesco Sansone



Vagavo senza meta lungo una strada larga e deserta. Non ero triste, ma neppure allegro. Sentivo soltanto un vuoto dentro a cui non sapevo dare una ragione e non riuscivo a capire da cosa fosse generato. Mi sentivo solamente privo di un qualcosa, ma non sapevo cosa.
Benché la pioggia da poco avesse smesso di scontrarsi contro la mia testa, le sue gocce erano ancora sulla strada dando vita a piccole pozzanghere. Continuavo il mio cammino, tenedo il capo abbassato e guardando l’asfalto sotto i miei piedi, quando fui colpito dal riflesso generato da una delle tante chiazze d’acqua.. In essa, infatti, c'era un arcobaleno che risplendeva e soffermandomi a guardarne i colori, rimasi scioccato nel guardare la mia immagine, non certo per presunzione, ma per il semplice fatto che vidi uscire dalle mie spalle una sola ala tutta bianca. Sì, proprio così, una sola ala. Non riuscivo a capire come mai.. di solito le ali sono due e io invece ne avevo una, come era possibile? Alzai lo sguardo dalla pozzanghera per poi ricalarlo. ma niente, l'ala era lì e sempre sola.
Ripresi a camminare senza distogliere i miei pensieri da ciò che avevo da poco visto. Vidi un'altra pozza d'acqua e mi ci rispecchiai. La stessa visione.Sempre e solo un’ala. Continuai il cammino per arrestarlo subito alla pozza seguente e la visione era sempre la stessa. Ero incredulo e forse per questo volsi lo sguardo al cielo, come se volessi avere uan risposta da qualcuno, ma chi poi? Ma il mio stupore continuò a crescere quando, tornando a guardare la strada, vidi che le ali erano diventate due. Sì proprio così, due ali, ma il mio stupore non svanì, bensì aumentò nel vedere che le due ali non erano mie. Solo una apparteneva a me, l'altra apparteneva a un ragazzo dai tratti delicati, occhi belli da benedire, sorriso puro e sensibile, che mi disse:
- Sei tu!
- Che vuoi dire? - chiesi, mentre una strano benessere avvolgeva tutto il mio corpo.
- Sei tu, la mia ala perduta. Eravamo assieme nella nostra vita passata, ma un giorno senza un perché ci siamo persi. Tuttavia questo perdesi era destinato a svanire e noi ci saremmo ritrovati un giorno. Adesso quel giorno è arrivato.
Quelle parole fecero aprire in me una voragine nei miei ricordi portandomi a vedere i momenti accanto alla mia ala, accanto a quel ragazzo che possedeva l'altra parte di me, e ricordai tutto.
- Amore, sei tu?
- Sì amore mio, sono io - detto questo si avvicinò e stringendomi a se', afferrò la mano e iniziammo a volare verso il cielo che ci avrebbe ospitato nel suo infinito azzurro per tutta l'eternità.
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Il vecchio e la panchina

Premessa dell'autore

Continuo oggi con la serie di racconti ispirati dagli incontri per stada. Oggi è la storia di un vecchio signore che vi racconto. Naturamente il racconto è nato dalla mia fantasia, suscitata da quell'incontro con quel vecchietto seduto su una panchina tutto solo e con una grande malinconia emanata dagli occhi. Come nel caso di "Lei", le sensazioni che si sono innestate son state molteplici e quello che segue è il resoconto di tutto ciò.
Buona lettura
Francesco Sansone


Il vecchio e la panchina

Non c'è giorno che passa in cui quel vecchio non va in quella villa a guardare il passaggio delle persone che, nella loro routine quotidiana , passano velocemente per recarsi ai loro impegni. Lui, il vecchio, come unico impegno ha l'andare a trovare quella panchina ogni giorno alle cinque del pomeriggio e non c'è causa o motivo che gli faccia perdere quest'abitudine.
Ogni giorno alle cinque è lì. Anche oggi che fa freddo e ogni tanto cade qualche goccia sulla sua testa è seduto a guardare la gente e ogni tanto si perde nei meandri dei suoi ricordi che lo riportano alle sue numerose primavere andate. Ricorda i giorni a lavoro, i giorni con la sua amata sposa, che ormai l'ha lasciato da solo. Pensa anche ai giorni in cui da ragazzetto andava girovagando per strada alla ricerca di un po' di svago, ma più le primavere riaffiorano sulla sua mente, più la solitudine e la tristezza si fa spazio in lui.
Accavalla le gambe e poggia un braccio sulla sua panchina, quando guarda passare un giovane che gli ricorda il lui di molti anni prima. L'osserva con attenzione e, benché gli abiti sia diversi dai suoi, in lui si riconosce. Riconosce il suo modo di camminare, quel sorriso sul viso, quella luce negli occhi che sprigiona la voglia di arrivare, di diventare qualcuno in questa società. Il vecchio si lascia scappare un sorriso e il giovane si volta e lo guarda, con uno sguardo di pena per quel vecchietto solo sulla panchina, e ricambia un sorriso che presto sarà passato perché il cammino del giovane non si arresta.
Sono le cinque e trenta quando dalla borsetta estrae un pezzo di pane e inizia a mangiarlo. Alcune briciole cadono sulla panchina, ma lui non le sposta come se con quel gesto volesse condividere il suo spuntino con la sua unica compagnia. Stessa cosa avviene con l'acqua di cui lascia cadere qualche gocciolina. - Torno subito - dice alla panchina quando si alza per recarsi al cestino più vicino per gettare la carta che avvolgeva il pane. Quando torna, accende una sigaretta e tra un'aspirata e l'altra ritorna a pensare e questa volta si sofferma al suo primo incontro con la panchina. Era un giorno come oggi, faceva freddo e di tanto in tanto cadeva qualche goccia sulla sua testa. Il vecchio era addolorato, perché solo pochi giorni prima aveva perso la sua amata ed era uscito per non restare solo in quella casa che per anni era stata la reggia dell'amore e che adesso era divenuta reggia di solitudine e dolore. Era uscito dunque per respirare un po' di aria fresca e quando fu di fronte a quella panchina ebbe un istinto quasi inspiegabile di sedersi un po' lì e lo fece. Restò dalle cinque alle sei e da quel giorno andò ogni pomeriggio lì. A quella panchina il vecchio il primo giorno raccontò tutto il suo ultimo periodo di vita e si sentì ascoltato, così come quando tornava da lavoro e c'era Anna, sua moglie, ad ascoltarlo in silenzio per non perdere neppure un solo particolare del racconto sul suo sposo, per poi, alla fine del resoconto, dirgli "dai non fare così, vedrai domani andrà meglio", oppure " Hai visto, oggi è andata meglio". Naturalmente la panca non poteva rispondere ai suoi racconti, e lui lo sapeva, ma non voleva privarsi di sentirsi dire quelle frasi e quindi con un coltellino le incise sul legno tinto di verde, in modo da sentirsi consolato.
Sono le sei ed è ora di rientrare a casa, il vecchio si alza, si aggiusta il cappotto, si gira verso la panchina e dice "Ciao Anna, ci vediamo domani" e si incamminò.
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Lei

Premessa dell'autore

Non so se vi sia capitato mai di camminare per strada ed essere attratti da qualcuno senza nessuna ragione e inziare a immaginare come sia la vita di quel qualcuno. A me capita spesso e il racconto che segue, nasce proprio da un momento del genere. Ero sopra un autobus e guardando fuori dal finestrino, fui catturato da una donna e venni invaso da una sensazione di pena, di desolazione, di malessere morale e iniziai a pensare come mai quella donna piccina, vivesse la sua giornata. Ciò che si è generato nella mia testa è riportato nel racconto che pubblico oggi e ogni volta che lo leggo, non posso evitare di rivivere quelle sensazioni che vissi più di cinque anni fa.
Buona lettura
Francesco Sansone

Lei

Un nuovo giorno stava sorgendo e con esso l'inverno giungeva nelle case degli esser umani che si preparavano a vivere il nuovo giorno. In molte di queste madri preparano colazioni a figli ancora dormienti, mogli osservano mariti affaccendati per non far tardi a lavoro, fidanzati che si svegliano rimanendo a letto abbracciarti l'uno all'altro. La città si svegliava, dunque, in vista del giorno di una nuova stagione. C'è anche Lei che guarda il nuovo dì. Sta da sola seduta al tovalo di fronte la sua tazza di latte e le sue tre fette biscottate, dando le spalle al televisore acceso che le comunica le ultime notizie di cronaca. Per Lei nulla è diverso da ieri, così come ieri non era diverso dal giorno precedente che, a sua volta, non era diverso da un qualsiasi altro giorno della sua vita. E' sempre stata sola Lei, vivendo una vita che non avrebbe mai sognato di vivere, ma che purtroppo non ha potuto evitare a causa della gente che evitava Lei. Lei non è bella, non è grassa e non è magra, non è né alta né bassa, Lei è solo Lei... insignificante. E' così che la nominavano in classe i compagni ed è così che la nominano i suoi colleghi di lavoro. E' insignificante come il suo abito marron scuro, la sua acconciattura arruffata, la sua postura cadente, il suo cedere pendolante. Nessuno cercava e cerca Lei. L'unica che cerca qualcosa è Lei, ma non trova niente se non quella nominazione che legge sulle labbra e sui visi di chi le passa accanto perseguitandola da tanto tempo, anzi da sempre. Lei non parla perché gli altri non la vogliono ascoltare. Eppure ne avrebbe di cose da raccontare, se solo qualcuno l’ascoltasse, forse, potrebbe capire che Lei infondo non è così insignificante. Ma nessuno le parla, nemmeno se stessa, a volte, parla con Lei. Il perchè non mi è dato sapere, è sempre stato così. Forse ci si nasce o forse qualcuno decide che alcuni di noi debbano vivere da morti o ermaginati in questo mondo senza una apparente ragione.
Finita la prima colazione, si alza, mette la tazza sul lavandino e si dirige silenziosa come sempre verso l'appendino dove prende il paltò, lo indossa e chiude quella porta anch'essa silenziosa dietro di se' e inizia il suo cammino. A un certo punto si ferma, osserva una vetrina. C'è un abito, vorrebbe comprarlo, ma poi parla con se' e dice:
- sarebbe invisibile su di me e nn sarebbe giusto dargli questa pena,
si rigira e riprende il cammino.
Arriva a lavoro e vede i colleghi salutarsi tra loro, fa lo stesso Lei, ma nessuno le risponde e sospirando cammina verso il suo armadietto, indossa il suo camicione e inizia il lavoro.
Lei è stanca quando finisce, ma non tanto per il lavoro, quanto per il suo esser insignificante, percorre lo stesso iter del mattino. Saluta tutti, ma tutti non salutano Lei. Arriva a casa, apre la porta, la chiude alla sue spalle e si ferma dinanzi allo specchio. Si fissa e a Lei dice "insignificante". Va in cucina, prepara la cena e si prepara a vivere l'ennesima serata insignificante della sua vita sola con Lei.
Va a letto e come ogni sera piange, piange a lungo, piange tanto, ma nessuno l'ascolta e mai l'ascolterà, perché il pianto di un'insignificante è difficile d'ascoltare se non per chi è insignificante come Lei.
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Ricerca nel buio

Premessa dell'autore

Una storia, quella che segue, che è stata scritta tutta di getto in pochi minuti, ispirata  mentre studiavo letteratura araba un po' di anni fa. Protagonista di una ricerca sfrenata, per ritrovare il proprio figlio, è una mamma come altre che, nella disperazione, trova la forza di non arrendersi alla fatica. "Ricerca nel buio" è un racconto da leggere tutto in un fiato, anche perché la scrittura e la storia vi impediranno di distogliere la vista dal testo.
Buona lettura
Francesco Sansone



"Ricerca nel buio" di Giovanni Trapani


Ricerca nel buio

- Tommasino! Tommasino mio, dove sei?

Queste parole risuonano nella pioggia battente di quella notte fredda di pieno inverno.
Solo una figura disturba la serenità della notte, è una mamma in preda alla disperazione che, in gesti convulsi dettati dalla paura, si inoltra fra gli alberi di quel terreno.

- Tommasino! Tommasino mio, dove sei? E' la tua mamma che ti chiama. Rispondimi.

Cammina senza guardare il sentiero. Cammina sola, accecata dalla paura. Piange quella donna, piange come mai fatto prima.
Al suo passare sembra che tutto quel mondo si spenga, come se si rifiutasse di vedere quella poverina, come se preferisse restare silente piuttosto che rivelarle un'amara verità.

- Tommasino! Tommasino mio, dove sei? E' la tua mamma che ti chiama. Rispondimi piccino mio.

Niente! Nessuno risponde, anche i gufi tacciono a quel richiamo.
Continua a vagare disperata. Cade, ma si rialza senza perder tempo e continua la sua ricerca. Cammina, cammina. Il suo vestito è strappato dal ramo di un albero. Sembra quasi che la voglia fermare per non far aumentare il suo dolore.
Tutti sanno quello cosa è successo, l'unica inconsapevole è lei, che continua a gridare, a piangere, a sperare.

- Tommasino! Tommasino mio, dove sei? E' la tua mamma che ti chiama. Rispondimi piccino mio. Sono qua, sono la tua mamma.

Vaga tutta sporca, stracciata, infreddolita, ma protetta dal suo calore materno, acceso ora più del solito. Va avanti e grida quel nome che lei stessa scelse per il suo bambino dagli occhi verdi, capelli biondo oro e pelle rosa come le rose primaverili che quel terreno ogni stagione regalano e che lei raccoglieva con il suo Tommasino.
Vaga senza guardare avanti, i suoi occhi vedono solo quel figlio disperso nei suoi giorni felici, in cui giocava con gli animali della fattoria. I miei cuccioli è così chiamava le mucche, gli asini, i cavalli e tutti gli altri ospiti della fattoria.

- Tommasino! Tommasino mio, dove sei? E' la tua mamma che che ti chiama. Rispondimi piccino mio. Sono qua, sono la tua mamma.

Il suo lungo camminare è finito, il suo bimbo ritrova. Anche lui è tutto sporco di fango, con i vestiti strappati e il sangue fuoriuscente dal corpicino, o meglio, da ciò che rimane dopo che quella bestia feroce si è scagliata su di lui. La donna compie due passi ancora e lo raggiunge. Lo prende in braccio e torna indietro per quello stesso sentiero.
Lo accarezza, lo stringe a se', lo bacia. Lui dorme e non si sveglia.
Giunge a casa. Lo lava, lo prepara per la notte e lo mette a letto. Rimane la, tutta sporca e stracciata, seduta ai piedi di quel talamo. Si addormenta.

- Tommasino! Tommasino mio. Dove sei? E' la tua mamma che ti chiama. Rispondi piccino mio. Sono qua, sono la tua mamma.
- Eccomi mamma, eccomi! Dai vieni, giochiamo.
- Arrivo piccino mio.



*L' illustrazione "Ricerca nel buio" è stata creata appositamente per il racconto da Giovanni Trapani a cui va un ringraziamento speciale. 
Per vedere tutte le sue opere www.giovsfantasy.blogspot.com




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Quell' amore

Introduzione dell'autore

Nuovo appuntamento con la lettura. Oggi esco dal tema affrontato in questi due giorni, ma rimango sempre nella contemporaneità, benché questa storia è stata realizzata tempo fa(ma mi chiedo sono un precursore o le cose a sto mondo no cambiano mai?? boh!) e racconta, senz nessuna presunzione una realtà, non per forza di ognuno, ma pur sempre una sfacettaura di questo mondo che a me piace vedere arcobaleno. Protagonisti sono una ragazza, il suo amico e di lei genitori colpevoli ognuno a modo loro del loro della loro figlia.
Buona lettura
Francesco Sansone

Qell'amore

Questa è una storia come tante, che può sembrare bella o brutta, oppure lasciare nel lettore una dolce tenerezza o amaro fastidio. Non lo so. Ciò di cui sono certo è che si tratta di una storia la cui narrazione è obbligatoria…



In una città del sud Italia, vive una ragazza di nome Ilaria, che come molte sue coetanee sogna di diventare qualcuno. La sua maggiore paura è quella di finire come una compagna di scuola che, a soli sedici anni, ha dovuto abbandonare gli studi per svolgere il ruolo di mamma, o meglio per indossare il ruolo di “bambina che cresce altri bambini”, è questo che lei dice quando parla di Sandra.
Ilaria pensa solo a studiare, per andarsene dalla propria città natale e andare a vivere altrove, magari in uno di quei paesi dove si parla inglese o francese, lingue che lei studia con passione. Per questa sua voglia, la ragazza, ormai prossima alla maturità, non cerca di stringere nessun legame né con i suoi compagni e compagne di scuola né, tanto meno, con quelli di classe che, secondo lei, rallenterebbero il raggiungimento del suo scopo. Tuttavia solo una persona riesce ad entrarle nel cuore: il suo compagno Leonardo, il quale condivide lo stesso sogno di diventare qualcuno, lontano dalla sua realtà abituale, ma per altri motivi. Infatti, a differenza di Ilaria, che vuole realizzarsi per fuggire dalla sua famiglia e, principalmente, da un padre che, per un bicchiere di vino in più nelle vene, troppe volte dimentica il suo ruolo di marito e di padre, rompendo e picchiando tutto e tutti, Leonardo vuole diventare qualcuno solo per non trovarsi a disagio nel non saper cosa risponde a chi gli grida <> e, soprattutto, per vivere una vita come tutti gli altri. Una vita normale, ma non come la intende la società, bensì secondo la sua personale definizione di normalità.


Si ritrovano ancora assieme i due, quando iniziano i corsi del primo anno d’università e, anche in quest’ambiente, non permettono a nessuno di penetrare nel loro cammino. Non fanno amicizia durante le lezioni e non invitano nessuno per studiare con loro, nei pomeriggi. Le giornate di studio iniziano alle 15:00 e si protraggono fino alle 20:00 con piccole pause ogni due ore per concedersi una tazzina di caffè e una sigaretta in cui si lasciano scappare confessioni e qualche chiacchiera, per poi tornare chini sui libri. Quando parlano, i due amici, immaginano le proprie vite fra caffè letterari e convegni . Non discutano mai di amori o di avventure, non le vogliono, non ci pensano neppure.



I giorni che anticipano il grande evento della discussione della tesi, sono vissuti dai ragazzi con forte emozione. Sono felici perché, ormai, sono prossimi a raggiungere il loro sogno. Continuano a studiare incessantemente. Ed è proprio in uno di quei pomeriggi di studio che inizia la storia di cui voglio informarvi.



Quel giorno Ilaria era coperta dalla testa ai piedi, benché la primavera da un bel po’ aveva bussato alle porte dei siciliani.
Il caffè stava sopra al fornello, e, col suo profumo, impregnava la cucina. Leonardo prese due tazzine nelle quali versò due cucchiaini di zucchero, uno per tazza, quando, girandosi, vide la sua amica un po’ curva su di sé con i capelli sciolti che le coprivano lo sguardo.
- Che hai? - chiese Leonardo stranito dalla visione.
- Nulla! - rispose Ilaria con un tono per niente convincente. Leonardo le si avvicinò e allungando il braccio le sfiorò la spalla. La ragazza si alzò in piedi con un salto rapido e restò ferma tremando davanti al suo amico, il quale, nella sua stessa posizione non riusciva a pronunciare nemmeno una semplice parola.
Restarono cosí per un tempo non calcolabile fino a quando l’odore del caffè e il fischiettio della caffettiera non fece muovere il ragazzo. Versata la bevanda nelle tazzine, queste restarono lì fissate da Leonardo. Il silenzio continuava, il ragazzo aveva capito. Stava male. Sentiva lo stesso dolore che Ilaria aveva dentro.
Un grido, seguito da un tonfo, pose fine la silenzio. Il ragazzo si girò velocemente e vide Ilaria in ginocchio che piangeva e diceva, senza prender fiato, - Perché…perché…perché -. Leonardo si adagiò su di lei e la strinse forte, non lasciandola andare, benché la ragazza desiderasse liberarsi. La presa era talmente forte che costrinse Ilaria e cedere e a stringersi all’amico seguitando a piangere.



La sera precedente, Ilaria, come ogni sera stava ripetendo la sua tesi, quando la porta della sua camera – che fino a quell’istante era stata per la ragazza la linea di confine con la sua famiglia – fu spalancata e sbattuta contro il muro, lasciando entrare quel padre talmente ubriaco che iniziò a inveire contro la figlia. Ilaria era terrorizzata e lo intimava di uscire, ma lui non demordeva, anzi, si avvicinava sempre di più alla figlia iniziando a strattonarla e picchiarla facendola cadere sopra il letto. Quando l’uomo la vide in quella posizione iniziò a sbottonarsi i pantaloni lasciandoli cadere lungo le gambe. Con violenza strappò gli abiti della figlia per proseguire in quel gesto che non fa più di un uomo un padre, bensì un animale.
- Perché? - continuava a chiedersi Ilaria mentre veniva sodomizzata da quell’uomo che l’aveva cresciuta e portata al parco. Ilaria smise di lottare spalancando gli occhi e guardando un punto fisso, sperando che quell’ incubo terminasse presto, mentre il padre le sussurrava con affanno animalesco di non avere paura, e che il papà l’amava tanto. Al termine di quella furia cieca, l’uomo si alzò, si tirò su le braghe e uscì. Tutti i suoi movimenti furono seguiti da uno sguardo morto e lacrimante che Ilaria aveva acquisito. La ragazza restò ancora più ferita nel notare che la madre era rimasta li immobile alla soglia della porta.
- Passerà - disse la donna alla sua bambina e poi uscì seguendo il consorte che intanto le gridava di raggiungerlo. Ilaria si alzò dal letto, si recò in bagno, aprì i rubinetti della doccia entrandovi per togliersi dal corpo tutto “quell’amore” del padre.


L’abbraccio tra Leonardo e Ilaria si protrasse fino al momento in cui il ragazzo disse che era necessario recarsi al più vicino distretto di polizia.
- Come potrei…come potrei denunciare colui che mi ha dato la vita?
- Nella stessa maniera con cui te l’ha sottratta!- fu la risposta di Leonardo il quale è uno di quegli esseri umani che non riesce a sopportare i soprusi e tanto meno i torti compiuti contro gli innocenti. È questo il motivo per cui il ragazzo costrinse l’amica a farsi giustizia.



Tornata a casa, Ilaria era assieme a Leonardo e a due poliziotti che, senza esitare, prelevarono l’uomo. Leonardo notò come la madre della sua amica guardava la figlia e ascoltò ciò che le gridava
- Sei la rovina della famiglia! Me l’hai distrutta! Che tu sia maledetta! Leonardo prese una valigia dalla camera di Ilaria e vi mise quattro vestiti. Prendendo per mano la sua amica uscirono da quella casa. La notte la trascorsero dormendo l’uno accanto all’altra nel letto del ragazzo.



Passano anche gli ultimi due giorni e i due si laureano e, dopo i festeggiamenti, come se si trattasse di un ricevimento di nozze, si dirigono all’aeroporto per prendere l’aereo che li avrebbe portati a vivere la loro esistenza. I due amici solo tre volte torneranno in Sicilia, per assistere al processo del padre di Ilaria.
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l'eterno amore

Premessa dell'autore

Eccomi qua, sono ritornato con un nuovo racconto che, scritto sempre anni addietro (anche questo è dimostrabile), continua l'attualità dei giorni nostri.
Protagonisti sono due ragazzi, due madri, una burocrazia ingiusta e soprattutto la violazione dei diritti civili. Cambieranno mai le cose, affinché storie simili a quella che segue, diventeranno solo un triste ricordo di un oscurantismo indegno?? Beh, me lo auguro per tutti quanti. Non c'è niente al mondo di più bello che vivere la propria vita nel massimo della libertà.
Alla prossima
Francesco Sansone

L'eterno Amore

Pioveva quel giorno al cimitero, come se anche il cielo soffrisse per la fine dell'amore tra Ale e Diego. Una storia nata, quasi per caso, sei anni fa in uno di quei locali per soli uomini e che da quel giorno non si è interrotta mai, fino all'altro dì, quando Ale, dopo mesi e mesi di dolore e sofferenza si è spento tra le braccia del suo Diego che in lacrime vedeva passare davanti ai suoi occhi i giorni felici e spensierati vissuti con colui che gli aveva giurato amore eterno. Al cimitero c'erano tutti gli amici ma, anche, i parenti e i genitori di Ale che, da quando avevano scoperto dell'omosessualità del figlio, facevano finta di non conoscerlo. Non erano con lui neppure, quando il ragazzo, ormai, consapevole della fine dei suoi giorni chiese di vederli e mandò Diego nella casa in cui aveva vissuto la sua triste adolescenza. I genitori del ragazzo, quando aprirono la porta e videro Diego, non attesero neppure che il ragazzo spiegasse loro il motivo di quella visita, così insolita e così rara e lo cacciarono via.
In strada Diego pensava come comunicare alla sua anima gemella la reazione dei suoi genitori, ma non ebbe modo di farlo perché, arrivato in ospedale, fu raggiunto da un'infermiera che lo informò del peggioramento delle condizioni del suo ragazzo. Diego si lanciò nella stanza, abbracciò Ale che, guardandolo, gli disse ti amo e si spense così, con gli occhi rivolti verso il suo unico amore.
La funzione era terminata e tutti andarono via e mentre Diego, sorretto dalla madre, si trascinava verso l'auto tra le lacrime che non riusciva a trattenere da quel giorno in ospedale, venne raggiunto dalla madre di Ale che, guardandolo con odio e disprezzo, gli disse tutto ciò che il cuore le suggeriva.
- Me lo hai ucciso! Che tu sia maledetto!
- No signora, non è colpa mia. Il tumore... il tumore ce lo ha strappato via ingiustamente- , le rispose il ragazzo intimorito da quella donna.
- Che tu sia maledetto frocio!
- Come si permette! Chi deve sentirsi una maledetta è lei e non di certo mio figlio", le rispose la madre di Diego, "Dov'è stata in questi sei anni in cui suo figlio era felice? Ma, soprattutto, dov'era quando stava male e chiedeva di lei? La sua ottusità le ha impedito di ascoltare quello che mio figlio aveva da dirle il giorno in cui venne a casa sua. Si vergogni, signora mia. E non si permetta più a dire frocio a mio figlio, stronza-
-Se è per questo, glielo ripeto ancora e poi ancora, fino all'infinito. Frocio! Frocio!-.
La madre di Diego non poté più frenare i suoi istinti e diede uno schiaffo alla donna che infieriva contro il figlio.
- Se non se ne va, giuro che non mi limiterò ad uno schiaffo solo
- Cosa potevo aspettarmi da una donna che accetta un figlio invertito?
A queste parole la madre di Diego stava per darle nuovamente uno schiaffo, ma fu fermata dal figlio che, ponendole un braccio di fronte, la guardò con i suoi occhi verdi pieni di lacrime.
- Mamma No. Non è lei che parla, ma è il dolore che la spinge ad attaccarmi
- Non ho bisogno che mi difendi, nessuno te lo ha chiesto
- Sa signora... -, riprende la madre di Diego. -Qual è la differenza tra mio figlio e lei? Mio figlio sarà pure un frocio, ma ha il rispetto per la gente come lei, stupida e ignorante, mentre lei non sa neppure dove sta di casa il rispetto-, detto questo si allontanò con il figlio lasciando la donna , immobile come un sasso, in mezzo al prato del cimitero.



Tornato a casa, Diego volle rimanere solo e chiese alla madre e agli amici se potevano realizzare questo suo desiderio. Rimasto solo si sedette sul divano posto di fronte al tavolino che ospitava le numerose foto scattate in questi sei anni con il suo Ale. Si girò attorno. Lasciò che il suo sguardo vagasse attorno a quella casa che avevano comprato assieme due anni prima dopo aver raccolto i soldi, lavorando faticosamente giorno e notte, e si rese conto che dall'indomani non si sarebbe svegliato più al suo fianco, non avrebbero pranzato più assieme, insomma, non lo avrebbe potuto rivedere mai più. Decise di mettere un cd di Mina, la cantante preferita di entrambi, e lasciarsi accarezzare dalla sua calda voce, decidendo di stendersi sul divano tenendo stretto fra le braccia una foto di loro assieme e chiuse gli occhi.

... io ti chiedo ancora,
Il tuo corpo ancora,
Le tue braccia ancora,
Di abbracciarmi ancora
Di amarmi ancora,
Di pigliarmi ancora,
Fammi morire ancora,
Perché ti amo ancora...
(Ancora, ancora, ancora. Mina)

Il cd andava avanti. Il ragazzo si addormentò, quando ormai le tre del pomeriggio erano passate. Restò lì, addormentato con la foto fra le braccia, per tutto il pomeriggio e anche la notte. All'alba del giorno dopo, si alzò dal divano, spense la radio, rimasta accesa tutta la notte, e andò in bagno per lavarsi. Si preparò la colazione e, dato che aveva preso qualche giorno di ferie, decise di andare a trovare il suo Ale.
Passò tutta la mattina davanti la tomba piangendo e a raccontare al suo amore la discussione avuta la mattina prima con la madre. Poi si sedette e restò lì, fermo come una statua, fino l’ora di pranzo, quando decise di tornare a casa.
Al suo rientro, trovò la porta della loro abitazione aperta e vide diversi uomini che spostavano i mobili. A dirigere i lavori era la madre d’Ale. Diego si precipitò dentro e, con un forte batticuore, si avvicinò alla donna.
- Che cosa sta facendo?
- Sto liberando la casa. Non lo vedi? Ho deciso, adesso che mi figlio è morto, di darla in affitto.
- Questa è anche casa mia! L'abbiamo comprata assieme
- Sarà, ma il contratto è intestato a mio figlio e, quindi, capirai che non avendo lasciato testamento la casa diventa automaticamente mia
- Non vuol dire nulla! Questa casa l'abbiamo comprata assieme e lei lo sa benissimo!>>.
- Gioia non è colpa mia se funziona così.
- Perché... perché mi sta facendo questo? Perché sta strappando via quello che rimaneva di noi?
- Perché? Tu hai iniziato per prima portandomi via mio figlio. Ora io mi riprendo ciò che era suo per mantenere vivo il ricordo.
- I mobili, il letto, tutto appartiene anche a me. E poi io non le portai via il figlio. È stata lei, con suo marito, a volersi liberare di lui, come si fa con i panni smessi, quando scoprì che era gay
- Non dire stupidaggini! Mio figlio non era gay, tu lo hai soggiogato e glielo hai fatto credere. Ora, se vuoi scusarmi...-, disse la donna al ragazzo, facendogli un cenno con la mano per indicargli di lasciare la casa.
- Lei non può farmi questo!
- Parla con il tuo legale e vedi se posso. Ora esci! Stai bloccando i lavori.
Luca si sentì disperato, non sapeva che fare e decise di recarsi a casa della madre per raccontarle ciò che gli era appena successo. La donna, dopo aver ascoltato sconcertata il discorso del figlio, gli disse di chiamare subito Stefano, un avvocato amico di Diego e Ale.
Nel pomeriggio il ragazzo, accompagnato dalla madre, si recò allo studio legale. Stefano vedendolo gli andò incontro. Lo abbracciò esprimendogli tutto il suo dolore stringendolo in un forte abbraccio fraterno. Stefano e Diego, infatti, si conoscevano dai tempi delle scuole medie ed entrambi avevano riversato nell’altro l’affatto che avrebbero dato ad un fratello se non fossero stati figli unici. Una volta seduti sulle sedie di pelle nere dell'ufficio, Diego raccontò, sotto gli occhi rossi per le lacrime della madre e quelli increduli dell'amico, cosa gli era capitato qualche ora prima.
- Mi dispiace Diego, in base alla legge, se il contratto è intestato ad Ale, la sua famiglia diventa proprietaria dell'immobile.
- Dannazione! La sua famiglia siamo noi. Siamo io, te, mia madre e tutti i nostri amici e non loro, e tu lo sai!
- Lo so benissimo. Dovevate stipulare un contratto in cui entrambi uscivate intestatari?
- Non pensavamo che sarebbe mai successo del genere.
- Non c'è proprio nulla da fare?-, chiede la madre di Diego all’avvocato, il quale rimane colpito dalle parole del suo amico.
- No, signora. So che non è lo stesso, se hai dei mobili intestati a te, li puoi prendere
- Sì, ho delle cose intestate a mio nome, ma... io voglio la casa, la nostra casa. Portandomela via, cancelleranno in me ogni ricordo che ho d’Ale - e detto questo, riprese a piangere.
- Dai, non fare così- , gli disse l'amico, - piangendo non otterrai nulla.
- Non è giusto Stefano!- , afferma la donna, ormai, quasi in lacrime anch'lei, -Non è giusto che lo stato non tuteli i diritti di mio figlio e di tutti gli altri ragazzi omosessuali. Al momento delle votazioni siamo tutti buoni e tutti uguali, ma quando si tratta di accettare loro com’essere umani riconoscendo i loro diritti, si chiudono i ponti..
- Sa signora? Mi ero promesso di diventare avvocato per cercare di far valere i diritti di ragazzi come me e suo figlio ma, purtroppo fino ad oggi, ho fallito e questo resterà solo un sogno in questo paese>>, rispose Stefano con voce bassa.
- Cosa devo fare, adesso?- , domandò Diego all'amico, cercando di trattenere le lacrime invano.
- L'unica cosa che puoi fare, adesso, è tornare in quella casa e portare via le tue cose
Usciti dall'ufficio, madre e figlio si recarono alla casa che era ancora occupata dalla madre di Ale.
- Sei di nuovo qui?-, disse la donna al ragazzo, vedendolo sul ciglio della porta.
- Sono venuto a portare via le mie cose!
- Non ti disturbare. Guarda, lì , in quei due scatoloni, ho messo le tue cose. Tranquillo ho lasciato, pure le foto
- Mio figlio, cara signora, deve portar via con sé anche altre cose che non entrano in quelle due scatole- , le disse la madre di Diego.
Mentre le due donne continuavano a discutere animatamente, il ragazzo si avvicinò agli scatoloni. Rimase fermo lì, di fronte loro. S'inginocchiò e vide i cd di Mina, quelli di Ambra e tutti gli altri. Vide tutti i libri e osservandoli gli vennero alla mente le volte in cui insieme si recavano in libreria per comprarne uno anzi due, uno ciascuno, e ricordò le varie discussioni che nascevano durante quell'operazione, così difficile per loro, del scegliere i volumi da comprare. Passavano minuti a dibattere su quale fosse il libro giusto e a volte arrivavano ad alzare il volume delle loro voci che, dopo un po', si riabbassavano, pagavano e uscivano lasciandosi gli sguardi increduli della gente alle spalle.
Continuò a guardare dentro gli scatoloni e vide le foto. Le prese e si soffermò a guardarle. I ricordi volavano nella sua mente l'uno dietro l'altro così come le foto scivolavano l'una dietro l'altra tra le sue mani. Questi, però, si fermarono con l'ultima immagine che mostrava i due in ospedale. Ale pieno di fili, pallido e profondamente segnato dalla malattia ma con quel sorriso che non perse neppure durante quei giorni e Diego preoccupato ma, allo stesso tempo, speranzoso che le cose sarebbero migliorate. Diego ricordava ancora il giorno in cui quella foto fu scattata. Era il giorno in cui Alessio gli chiese di andare a chiamare i suoi genitori. Il giorno in cui Alessio gli disse per l'ultima volta ti amo. L'ultimo giorno in cui Alessio vide il suo amore.
Diego si alzò prendendo le due scatole e si avvicinò alle due donne che discutevano ancora.
- Grazie!-, disse alla madre di Ale.
- Cosa?-, rispose lei incredula per ciò che il ragazzo le aveva appena detto.
- In queste scatole,- riprese il ragazzo, - c'è Ale. Ci siamo io e lui, e grazie a questi ricordi e a quelli che custodisco segretamente nel mio cuore, mi sono reso conto che lui resterà sempre con me. Prenda pure la casa, i mobili non mi importa di perdere i soldi, almeno io ho e avrò con me Ale per sempre. Le auguro che tornando a casa sua stasera, possa scovare suo figlio in qualche ricordo ma, e lo sappiamo entrambi mia cara signora, non sarà così. Non lo troverà per il semplice fatto che non è riuscita a volergli bene da vivo e ora che non c'è più, non può pretendere di ritrovarlo in quella casa dove ricordi non ve ne sono. Li avete gettati tutti quanti negli cassonetti della spazzatura come l’amore che vostro figlio voleva darvi e sperava di ricevere da voi. Prenda la casa se può aiutarla ad alleviare il dolore dal suo cuore. Quel dolore che, e anche questo lo sappiamo più che bene entrambi, non si placherà mai, così come il rimpianto non le farà chiudere occhio per il resto dei giorni che le restano da vivere in questo mondo. Addio signora e che Dio possa avere pietà di lei!-, detto questo il ragazzo, assieme alla madre, andò via, lasciando la donna in asso, come quel dì al cimitero. La donna restò qualche istante perplessa, colpita da quelle parole così dure, per poi, come nulla fosse, riprendere a dare ordini agli uomini che, a poco a poco, smantellavano l’appartamento.

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Lulù

La notte in cui venne ritrovato il corpo di quella ragazza, quasi nessuno la conosceva.
La luna, in tutto il suo splendore, nella sua totale pienezza, osservò, anche lei, la scena che avrebbe impietosito chiunque.
Sara, tanto bella quanto sfortunata, stava lì, immobile, il marciapiede era il suo letto, la strada la sua casa… la chiesa all’angolo suonava l’ultimo rintocco della mezzanotte quando giovani donne, poco più che bambine, ragazzi e travestiti, vendevano il proprio corpo a coloro che, in macchina, si avvicinavano per appagare i propri sensi. Quella chiesa… la notte e il giorno, l’ombra e la luce, la morte e… la vita? Anche quella notte, una come tante altre, la stessa di ieri, uguale a domani: il via vai di auto, ragazzi e ragazze andavano e venivano, fuochi accesi sui cigli delle strade; però quella, ormai prossima al termine, non fu come le notti sorelle. Quella sera la luna vide l'orribile e ingiusto delitto che un pazzo, forse per provare un ulteriore momento di piacere, aveva commesso.
- Chi è questa povera disgraziata? -, domandò il commissario a uno dei suoi agenti, appena arrivò sul posto.
- Non si sa, signore! Nessuno la conosce qui. Era nuova del giro e non aveva stretto contatti con nessuna delle altre ragazze che bazzicano solitamente su questa strada. Però mi è stato detto che l'unica persona con cui ha instaurato un rapporto di amicizia è una certa Lulù. - rispose il poliziotto.
- E dove si trova adesso questa Lulù? - chiese il commissario, un ragazzo di trent'anni, molto alto e affascinante.
- È andata via con un cliente circa un'ora fa e ancora non è tornata. Chissà come se la staranno spassando! -
- Mostri un po' di rispetto agente Paoli!Si trova pur sempre davanti a un cadavere! Aspetti che torni la signorina, l'accompagni al commissariato e speriamo che ci possa dare qualche notizia su questa ragazza. - detto questo, Luca fissò quella "povera disgraziata" , notò le sue bellezze: capelli neri e lisci come uno scialle di seta, occhi verdi, labbra piccole e carnose. Ma guardandola non poté far a meno di soffermarsi sul lungo taglio che quel delinquente le aveva inferto sul suo bel collo. - Bene! Adesso vado. Mi porti la signorina Lulù appena può. - e salì in auto.



Passarono ancora parecchi minuti prima che colei che poteva aiutarli tornasse. Adesso nel cielo non vi erano più nuvole. Solo la luna brillava, mettendo in risalto quel triste scenario.
- Alla prossima bello! -, si sentì da lontano, mentre una macchina andò via velocemente, forse a causa della polizia. Una figura, dal fondo della strada, si avvicinò dondolandosi sinuosamente ma, quando vide gli agenti rallentò il passo. Notò il lenzuolo bianco sopra l'asfalto e di colpo si fermò. Restò ferma lì, con gli occhi spalancati, fino a quando il poliziotto si avvicinò a lei.
- È lei Lulù? - le fu chiesto.
- Sì! Co... cosa è successo? - disse tremando.
- Questa notte un pazzo ha ucciso una ragazza e mi hanno riferito che solo lei aveva stretto amicizia con la vittima.
- Sara... Sara... Sara,- ripeteva mentre riprese il cammino, lento e strascicante. Quando fu di fronte al telo, si inginocchiò. Lo alzò e vide quello che già tutti avevano osservato. Si calò verso il corpo, la sollevò, la strinse forte fra le sue braccia, iniziò a dondolarsi e a cantare lentamente una filastrocca, tanto da sembrare un requiem.

"Bella chi dorme sul letto di fiori,
mentre dormiva la cara bambina,
o Maria Giulia da dov... dove se..."

Ma non riuscì a terminarla, perché le lacrime, ormai, sfociarono in un pianto straziante… tutti i presenti non poterono che restare a guardare in silenzio.



- Commissario abbiamo trovato la ragazza. È qui fuori che aspetta. - disse l'agente Paoli con tono provato, ricordando ancora la triste scena a cui aveva assistito poco prima.
- Bene, la faccia accomodare. Ah! Agente vada a casa e si riposi un po', ne ha bisogno!>>
- Sissignore.
Luca si alzò per accogliere Lulù alla porta, <>
- Non si preoccupi! Innanzi tutto non sono una signorina - e tolse la parrucca che indossava, - Sono gay, ma non una donna. Mi vesto così solo perché al mondo ci sono tanti porci che amano i cazzi, ma non vogliono accettarlo e vanno con i travestiti e, di conseguenza, mi devo adeguare.
- Capisco! Allora come devo chiamarla signore?
- Simone!
- Bene Simone, può aiutarmi?
- Sara! E così che si chiamava. Era sulla strada solo da un mese. Vi era finita a causa di un figlio di puttana che l'aveva illusa e poi l'ha rovinata. Le aveva promesso che l'avrebbe sposata, ma poi, di punto in bianco, l'ha venduta per una dose di droga a un tizio che se l'è scopata e poi l'ha lasciata sulla strada. Restò sola, senza soldi e casa, gliel'aveva portata pure via, quello stronzo! Quando arrivò sulla strada delle puttane e dei froci, è così che la chiamate, no? Comunque quando arrivò, alcune delle ragazze volevano picchiarla per non farla più tornare. Vedendo il suo viso spaventato - com'era bella la mia stellina - mi avvicinai e la difesi e d'allora ero il suo unico amico e lei lo era per me.
- E i suoi genitori?
- È sempre stata sfortunata Sara! Aveva perso entrambi i genitori in un incidente circa un anno fa e poi conobbe il disgraziato. Beh! Il resto già l'ho detto.
- Dove abitava?
- Con me! A casa mia. Mi ha sempre fatto tenerezza e più di una volta le avevo detto di smettere e stare a casa e che avrei provveduto io a lei, ma non dava retta alle mie parole perché, diceva, che non voleva essermi di peso - ma quale peso, poi? Non ho mai avuto molti amici in vita mia. Da piccolo, perché i ragazzini come me non erano bene accetti e adesso perché gli altri gay non mi vedevano di buon occhio perché, facendo questo mestiere, sono un poco di buono. Ma mi creda, a volte, sono peggio di me! Ma non penso che questo le interessi, scusi!
- Non ti scusare Simone... posso darti del tu?
- Certo!
- Piacere Luca!
Vedendo che quel ragazzo, lontano anni luce dal suo tenore di vita, si comportò in tale modo con lui, Simone si sentì, forse per la prima volta nella sua esistenza, un ragazzo che non deve vergognarsi di se stesso.
- Simone..., continuò Luca, - devo chiederti di portarmi a casa tua per vedere se riesco a trovare qualcosa in più su Sara. Che so... qualche lettera o cose simili. Ti dispiacerebbe?
- No, niente affatto. È un piacere essere utile per la mia piccola stellina.
- Perfetto, andiamo!



Erano le cinque e trenta del mattino quando i due ragazzi, assieme ad altri tre agenti, arrivarono in quella casa. Di certo non era una casa simile a molte altre. Era piena di specchi, lampade e quadri che avevano come soggetto paesaggi e uomini nudi. C'era anche un autoritratto di Simone che presentava entrambe le facce del ragazzo. Una, quella di Lulù, viva di colore, come se si volesse indicare che quel lato avesse il sopravvento rispetto all'altra faccia che era dipinta in bianco e nero e rivolta verso il basso.
Simone andò in camera per cambiarsi per uscire qualche minuto dopo con gli abiti che indossava, quando non lavorava e che lui preferiva. Niente calze a rete e nessuna gonna, solo jeans, camicie aderenti e infradito. Tornato da Luca, quest'ultimo vide di fronte a sé un bel ragazzo alto e mascolino.
- Stai meglio così, sai?
- Grazie. rispose il ragazzo intimidito ma, allo stesso tempo, lusingato del complimento che gli fu rivolto. - So che siete in servizio, ma vi posso preparare un caffè? Tranquillo non vi è nessuna pozione al suo interno che vi renda gay. È un semplice e tradizionale caffè.
- Al diavolo le regole! Ne abbiamo tutti bisogno per tirarci su. Nessuno di noi dorme da ieri notte. Accettiamo. - Fu la risposta di Luca che accompagnò con un sorriso.



- Abbiamo trovato questo, Simone -, gli fu detto da Luca che teneva un diario in mano. Il ragazzo lo prese e iniziò a sfogliarlo e ne lesse una pagina.



19 agosto 2004
Amico mio
Sembra proprio che la fortuna sia tornata dalla mia parte. Questa notte ho conosciuto un ragazzo, Simone, molto gentile, dolce e bello - peccato che sia gay. È stato tanto affettuoso con me, mi ha difeso da alcune donne e mi ha invitato a stare a casa sua. È un miracolo! È il mio angelo custode. So che può essere assurdo che dopo solo due ore ci si possa affezionare a una persona, ma è così! Gli voglio già tanto bene.
Sara!



- Hai sentito Luca? Mi voleva bene! Era l'unica persona che provava un sentimento simile per me e me l'hanno portata via. Me l'hanno uccisa. Non è giusto, non lo è affatto!
- Purtroppo non sempre la vita ci lascia a lungo chi ci ama. Simone qui abbiamo finito. Grazie per l'aiuto. Il diario lo portiamo via noi per vedere se riusciamo a trovare qualcosa in più, ma ti giuro che te lo farò riavere perché è giusto che lo tenga tu.
- Grazie!



Tornò la luna che, anche questa notte, non si trovò a osservare la solita scena. Infatti, oltre a Sara, quella notte anche Lulù non era presente nella strada. Simone era rimasto a casa, non se la sentiva di riprendere la sua vita notturna, come se nulla fosse successo. Restò con i suoi abiti maschili seduto sul divano a guardare la televisione. Aveva visto quasi tutti i telegiornali e tutti parlavano di Sara, e ora guardava un film che non gli sembrava molto interessante. Suonò il campanello e si alzò. Quando aprì la porta si vide davanti Luca che teneva tra le mani il diario.
- Te lo avevo promesso, no? - disse al ragazzo che lo invitò a entrare e a bere qualcosa.
- Non c'era bisogno che ti disturbarsi a portarmelo. Se mi aveste chiamato, sarei venuto io stesso a prenderlo.
- Non è stato un disturbo, tutt'altro! Mi faceva piacere parlare con te. Ho scoperto, leggendo le ultime pagine di questo diario, che sei una persona speciale, ed è un peccato che la gente non lo capisca.
- Ormai, sono abituato alla solitudine e anche se per un mese avevo assaggiato il piacere della compagnia, adesso devo rassegnarmi e tornare alla mia solita vita.
Luca non disse nulla, ma quelle parole lo avevano colpito e dispiaciuto, non poteva credere che un ragazzo d'oro, pronto a dare tutto se stesso per gli altri, stesse solo, senza amici e genitori. Aveva scoperto, sempre tramite il diario, che i genitori del ragazzo lo avevano buttato, nel senso più stretto del termine, fuori da casa gridandogli che non volevano un figlio frocio. Da allora iniziò ad arrangiarsi da solo e a lavorare in strada diventando Lulù. È così che poté comprarsi la casa e vivere dignitosamente. Tuttavia non voleva restare per sempre in quella situazione. Era laureato in lingue e aveva mandato vari curriculum, ma non aveva ricevuto risposta, ma non si è mai scoraggiato e aspettava il giorno in cui la sua vita sarebbe cambiata.
- Devo proprio andare, ora. Sono stanco e domani mattina devo alzarmi presto. Ci vediamo al funerale.
- Luca!- disse frettolosamente Simone, - Se ti prometto che non ti salgo addosso, dormi qui? C'è una stanza per gli ospiti. Ti prego non dire no. Non voglio stare solo e tu sei l'unico amico. So che tu non puoi considerarmi tale, ma per me è così!
- Sono felice che mi reputi un tuo amico, perché tu per me lo sei già da quando, stamattina, ho letto quelle pagine!- e si avvicinò a Simone e lo abbracciò. Il ragazzo restò immobile, ma poi, poco a poco alzò le braccia e ricambiò il gesto affettuoso e scoppiò a piangere per sfogare l'immenso dolore.



Passarono i mesi e il Natale, ormai, era prossimo. Le strade erano colme di candida neve che copriva i tetti delle case, regalando una visione fiabesca. I due ragazzi diventarono inseparabili amici e a casa di Simone il suo autoritratto fu cambiato con una gigantografia che mostrava Simone e Luca. Non c'era più spazio per Lulù.
La luna guardando i due ragazzi fu felice di notare che i gusti sessuali fossero, ormai, solo dei dettagli che non impedivano a due ragazzi che amavano in modo diverso di diventare amici.
Simone, in quella mattina che precedeva la vigilia della nascita del Cristo, aveva ricevuto una risposta da una compagnia aerea che gli offriva un impiego come assistente di volo dal tre di gennaio. Simone e Luca uscirono per festeggiare la bella notizia e andarono a bere qualcosa in un bar.
- Finalmente questo dì è arrivato! - esclamò Simone brillo - Potrò far vedere a tutti quanto valgo, brindiamo!-. I ragazzi restarono a bere per tutta la notte e quando decisero di tornare a casa, Luca dovette sorreggere l'amico che, altrimenti, sarebbe cascato come un pera cotta per terra.
A casa il commissario spogliò Simone e lo mise a letto. Lo svestì con delicatezza per timore di svegliarlo. Sfilò il maglione e i pantaloni per mettergli il pigiama. Sembrava il fratello maggiore che accudisce, con un amore senza interessi, il fratellino. Quando finì, Luca tuttavia non si sentì di lasciarlo da solo e decise di dormire lì. Prese una coperta e si distese sul divano posto di fronte al letto e, per tutta la notte, apriva gli occhi, di tanto in tanto, per controllare il suo amico.
L'indomani mattina Simone si svegliò e andando in cucina vide che i fornelli erano stati occupati da Luca che stava preparando la colazione e, quando si accorse che l'amico era in piedi sul ciglio della porta con una aria non proprio delle più felici, gliene offrì una tazza e si accomodarono.
- Come va, amico? - domandò Luca.
- Ho un mal di testa terribile.
- Ti credo! Con tutto quello che ti sei scolato ieri, chiunque starebbe nelle tue stesse condizioni.
- Già! Non mi ci fare pensare.
- Come vuoi. Devo andare a lavoro. Ci vediamo stasera per mangiare qualcosa assieme? In fondo è la vigilia di Natale oggi!
- Vero! Devo uscire per comprare i regali. Ci vediamo alle nove qui.
- Perfetto. A dopo!- e Luca uscì frettolosamente, mentre Simone si mise a cercare un'aspirina.
Mentre continuava a controllare, il ragazzo sentì squillare il telefono e quando rispose sentì la voce di un cliente.
- Lulù, ti va di succhiarmelo?
- Mi spiace, ma ha sbagliato numero - rispose Simone sperando che quell’uomo attaccasse.
- Che cazzo dici, non fare la stronza! Voglio che mi fai un pompino subito, altrimenti te la faccio pagare, mi hai capito? Sai che non scherzo.

Simone, che pur essendo un bel ragazzo alto e fisicamente prestante, non sapeva fare a pugni e aveva paura che quel tizio potesse fagli del male e così accettò. Fissò un appuntamento per le diciotto in un motel non molto lontano da casa sua e attaccò la cornetta.




Quando Lulù fu lì, entrò nella stanza dove ad attenderla c'era gia quell’uomo. Un signore di circa cinquanta anni, sposato e con due figli. Una figura ben nota nella città. Si avvicinò e la strinse forte per un braccio.
- Perciò avevo sbagliato numero, eh? - disse l'uomo arrabbiato. - Ora ti faccio vedere una cosa e vediamo se la conosci? abbassò la lampo dei pantaloni e tirò fuori il suo membro in erezione. - Prendilo in bocca!- Lulù obbedì al comando, mentre il suo cuore batteva accelerato per la paura.
Finiti i "giochi", disse all'uomo che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti, ma l'uomo reagì male ed ebbe inizio una furiosa lite che si concluse con lo sparo di una pistola. Il portiere sentendolo, chiamò subito la polizia che fu sul luogo in meno di un quarto d'ora. Al capo del comando c'era Luca che si avvicinò al portiere per sentire ciò che aveva da dire. Quando gli comunicò che da quella stanza dopo lo sparo nessuno era uscito, il commissario con alcuni uomini si avviò verso quella stanza. Aprendo la porta vide una ragazza che piangeva distesa sul pavimento e l'uomo, ancora nudo, seduto di fronte a lei con le braccia riverse verso il basso e lo sguardo fisso nel vuoto. I poliziotti braccarono l'uomo che non fece nulla per scappare al suo destino, mentre Luca si avvicinò alla ragazza.
- Non si preoccupi signorina, l'ambulanz... -, il ragazzo si fermò quando riconobbe il suo amico. - Simone cosa ci fai qui?
- Mi aveva detto che mi avrebbe fatto del male se non lo avessi accontentato però, quando gli ho detto che questa era l'ultima volta che ci saremmo visti, si è arrabbiato; abbiamo litigato e poi ha estratto la pistola e mi ha sparato. Luca, non voglio morire! Ho vissuto sempre da solo, ma ora ho trovato un amico come te e la mia vita è finalmente cambiata. Non voglio morire!- disse piangendo il ragazzo all'amico, anch'egli con le lacrime agli occhi.
- Non dire stupidaggini... tu non stai per morire! Come ti viene in mente?
- Già, io non posso morire! Non posso morire adesso, non posso...
- Bravo! L'hai capito finalmente! Sai domani sei invitato a casa dei miei per il pranzo di Natale. Sono curiosi di conoscerti, gli ho parlato così bene del mio migliore amico, che ora non stanno più nella pelle!- Luca non sentì alcuna risposta e quando alzò gli occhi vide che lo sguardo di Simone, ormai, non brillava più. Il suo amico aveva raggiunto Sara. Luca lasciò delicatamente il corpo esanime del suo Simone, si alzò, si voltò, si diresse verso l’uomo, lo guardò con tutta la sua disperazione, la sua ira, il suo dolore. Anche l’uomo lo guardava, ma il suo sguardo era diverso, era lo guardo di uno pentito di ciò che aveva compiuto. I poliziotti lo tenevano per le braccia ammanettate. Luca, non appena fu a tre centimetri dall’assassino, si fermò. Alzò lo sguardo, gli sputò in faccia e gli scaraventò un pugno sul naso che iniziò a sanguinare. Uno degli agenti lo braccò allontanandolo dall’uomo. Fu portato in strada e rimase in piedi, in silenzio con le lacrime ancora vive nei suoi occhi. Alzò il viso mentre il corpo di Simone, coperto da un telo bianco, veniva portato via. Guardò la luna, come ogni sera presente, e gettò un urlo disperato a cui essa ricambiò poggiando un suo raggio sul cadavere di Simone, come se anch'essa stesse piangendo e quel raggio fosse una lacrima che si era lasciata scappare. Quella luce avvolse Simone e lo illuminò facendolo somigliare ad un angelo. Un angelo che tornava, finalmente, al padre, mentre le campane della chiesa ricordavano a tutti che un nuovo giorno, il giorno di Natale, era appena iniziato.
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